Lo scenario di emergenza sociale in cui ci troviamo è stato di recente definito “bomba sociale”. Voi cosa ne pensate?

Il disagio sociale già profondamente evidente prima dell’arrivo del covid-19 ora è ovviamente aggravato dalla chiusura del paese che sta pressando ulteriormente le famiglie, mettendo a disagio di più chi già aveva situazioni pesanti con malattie o disabilità o altro dentro casa, ma non solo, sta facendo emergere una nuova fascia di famiglie che avranno bisogni mai avuti e molto altro mai visto fino ad oggi.

A nostro avviso, infatti, non si deve fare l’errore di confondere l’essenza della “bomba sociale” con l’urgenza che il fenomeno del coronavirus sta mostrando. L’urgenza di aiutare anziani, famiglie con disabilità, donne vittime di violenza, persone senza fissa dimora, e moltissimo altro ancora, era una condizione di emergenza anche prima dell’arrivo del covid, oggi semplicemente amplificata e resa ancor più visibile e grave. Lo stress cronico dei servizi e del personale che vi opera è ormai noto da anni, la capacità di resilienza delle famiglie e di ogni soggetto in condizioni di disagio già prima era supersviluppata e quindi sarà forse esaurita. Ma importante è evidenziare anche la nuova bomba sociale che si va delineando che è la ex classe media che ora arriverà ai servizi, classe che da borghesia emergente (con una coscienza borghese) era già stata tramutata in questi ultimi anni in classe medio bassa asservita al sistema neoliberista, in cui l’etica del denaro aveva assegnato gli unici due ruoli ancora permessi: produttore e consumatore.

E’ questo il target che con molta probabilità collasserà andando a perdere il ruolo di produttore. La questione non è liquidabile con il semplice termine di “disoccupazione dilagante”, stiamo parlando di una massa di individui che era stata deprivata già di un sistema valoriale, di modelli condivisi, cui era stato lasciato soltanto il compito di produrre e consumare beni materiali. Vivendo l’ennesimo tradimento, trovandosi senza appigli morali ed etici, senza una speranza nella trascendenza, è plausibile che il nostro nuovo target si trovi a soffrire una crisi della percezione di sé senza precedenti. La bomba sociale cui stiamo per assistere è la perdita dell’identità di gran parte della popolazione, processo che era già in atto da almeno 15 anni e che ora si mostra come potenzialmente esponenziale; una condizione strettamente connessa con la prospettata crisi economica senza precedenti. La risultante potrebbe essere un disorientamento fatto di frustrazione ed incredulità che potrebbe dare adito ad una attivazione rabbiosa difficilmente gestibile.

E’ importante capire che non si tratta più solo di agire come si faceva fino a ieri cercando di puntare sui cosiddetti livelli essenziali, peraltro mai raggiunti in buona parte d’Italia, bensì rilevando nuovi e diversi bisogni e relative modalità di risposta e subito. Non possiamo aspettare, se pensiamo per esempio già oggi ai minori che non vanno a scuola e non ci andranno probabilmente fino a settembre, così come le famiglie con figli disabili in casa o con anziani molto gravi, e molto altro. Occorre riconoscere che ciò che si sta per mostrare è una situazione straordinaria che necessita di una risposta straordinaria. Lo stesso servizio sociale se pensa di affrontare la situazione con misure ordinarie sarà “spazzato via dall’esplosione”.  Appare impensabile non ripensare il ruolo dell’assistente sociale oggi alla luce del fatto che presto, le risorse che erano insufficienti ieri, saranno completamente assenti. Il servizio sociale come erogatore di misure di risorse è destinato a sparire o ad avere un ruolo marginale nella sua nuova architettura. Occorre allora chiedersi quale sarà questa nuova architettura? Su cosa dobbiamo investire per farci trovare pronti e in grado di offrire strumenti funzionali alla situazione attuale?

Che cosa si dovrebbe fare subito per rispondere all’emergenza sociale che si rileva ormai da tante voci, quindi?

I due elementi sui quali è possibile prendere spunto per cercare di orientarsi in questo scenario sono:

  • Mancanza di risorse economiche sia per i servizi sia per i cittadini
  • Crisi dell’identità che se in una condizione di benessere poteva andare nella direzione di uno sviluppo di qualche patologia psichiatrica (come avvenuto finora), riducendosi la scala di maslow, possiamo piuttosto immaginare una deriva violenta.

Dall’analisi di questi due elementi si concretizza il compito di un servizio sociale capace di vedere la straordinarietà della situazione.

Cosa fare quindi? È necessario prendersi cura dell’identità delle persone singole andandola a rimodellare rispetto alle proprie reti significative, si tratta di aiutare la persona a percepirsi non più come un’individualità proiettata al successo e al proprio profitto personale, ma piuttosto come persona legata ad altri esseri umani della propria comunità, rivalutando ed investendo sulla famiglia e sulla sua comunità

Come fare quindi? Per cercare di raggiungere il punto precedente occorre partire nello specifico dai bisogni che la persona sente come prioritari che non sono certo quelli di mutare la propria identità. Se la disoccupazione sarà dilagante e le risorse scarse, come immaginiamo, l’assistente sociale lavorerà “mettendo in rete le reti” di condivisione esistenti, insegnando una politica ed una economia di share, ricreando comunità e quindi (qui la creazione del punto precedente) senso di appartenenza e identità in modo nuovo.

Da qui la proposta di creare una taskforce formata per operare su questi due fronti, da sguinzagliare sul territorio, che il Sindacato SUNAS  (Sindacato Nazionale Unitario Assistenti Sociali)  a cui anche noi siamo iscritti e che abbiamo aiutato a predisporre in questi giorni.  E’ fondamentale, imprescindibile e urgente che lo Stato riprenda le fila di una condizione territoriale sociale diversificata e già di per sé in stato di emergenza prima del Covid, in tantissimi luoghi.

La bomba scoppierà velocemente, più di quanto si pensi se non si provvede subito con una strategia nazionale coordinata e definita direttamente in emergenza già dall’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con un gruppo tecnico che si collega con i territori dando indicazioni omogenee e precise sulle risposte urgenti da dare.

Si possono coordinare così velocemente, azioni territoriali con AS in collaborazione diretta con i cittadini e con il terzo settore già in gran parte attivo in quasi ogni territorio e sviluppare azioni di “comunità” con interventi di Share e di sostegno reciproco, e molto altro e il tutto guidato da operatori qualificati e in grado di gestire.

Si potrebbe per questo anche attivare da subito un buon numero di AS liberi professionisti e magari anche tanti disoccupati, prepararli ad agire con una strategia unica nazionale lavorando direttamente nei territori di tutta Italia.

Da sole le famiglie saranno a pezzi e svilupperanno molte altre forme di disagio e i figli saranno coloro che pagheranno di più le conseguenze di tutto questo, dobbiamo agire subito e in tanti.

Come pensate dovrà essere il lavoro degli Ass. Sociali nel nuovo breve futuro post-covid ovvero che aiuto si potrà dare ai cittadini oltre ai “buoni spesa”?

E’ necessario fare un approfondito ragionamento sul nuovo scenario che si presenta ai nostri occhi a causa del cambiamento obbligato che il COVID ha avviato velocemente e quindi anche fare proposte coraggiose e molto diverse dal passato, qualche esempio per capirci:

Sapete cos’è la sharing economy? Ha tanti significati alcuni fondamentali per questo scenario, tra cui uno fondamentale per un certo tipo di approccio: la condivisione attiva e partecipata dei cittadini. Sarebbe bene attivare processi di sviluppo di comunità in termini di share e di solidarietà anche supportati dalle tecnologie web per esempio,  in un approccio che chiamerei ShareSocialWork, come già dissi ormai più di 5 anni fa – dice Banzato- in un corso di formazione per assistenti sociali. (vedi spunto corso Banzato nel merito… ) –

Oppure parlerei di AS on-demand ma in termini di professionista sociale di cura e non come impiegato (vedi CSC Model – Consulenza sociale di cura – Zen/Banzato – Edizioni libere SocialNet), come ironicamente suggerivo prendendo spunto da chi ha coniato il tema di shut-in economy (vedi articolo sab sul blog), ovviamente pensando ad un nuovo e strutturato modo di mettere a regime servizi consulenziali di cura e supporto alla popolazione e alle comunità secondo procedimenti e regole certe nonché con strumenti idonei.

Ristrutturare il servizio sociale ricentrandolo su prevenzione, promozione e social care, e non più di gestione di risposte preconfenzionate, standardizzate e prettamente assistenzialistiche, per non relegare la professione ad essere sempre più burocrate e sempre meno professionista, lasciando i cittadini in difficoltà privi del primo importante punto di riferimento per l’aiuto sociale concreto.

In sostanza ci sta dicendo che bisognerà per forza cambiare il Servizio Sociale per come lo abbiamo inteso sino ad oggi?

Si, io lo pensavo già da tempo e ora sarà impossibile tornare indietro, per forza ma anche anche un po’ per fortuna. E’ venuto il momento in sostanza di prendere in esame tutto ciò che già da qualche tempo si è avviato in alcuni microspazi rimasti un po’ isolati ma che già antesignanamente hanno fatto emergere risorse e modalità diverse di dare risposte a chi ha bisogno, modalità che oggi il welfare non ha mai considerato e che le tecnologie web hanno reso più facili oltre che più facilmente visibili e quindi anche condivise.

Abbiamo vissuto in condizioni di “isolamento relazionale”, stressati da lavoro e denaro, pensandoci liberi e ora siamo in isolamento forzato e cerchiamo contatti e relazioni per immaginarci liberi e in contatto e soprattutto ci ri-organizziamo in comunità, seppur ora a distanza ma pur sempre espressione dell’esigenza di comunità che dentro abbiamo tutti.

Incentiviamo e aiutiamo le comunità a ricostruirsi e a ritrovarsi nonché a trovare le risorse ed esse arriveranno e saranno tante di più di quanto possiamo immaginare.

Gli assistenti sociali possono in questa fase, se ben attrezzati e con tempo di riflessione e guida, offrire non solo “consulenza sociale cura” a persone, coppie e famiglie, per aiutarle a ritrovare l’omeostasi identitaria perduta ma anche a sostenere e sviluppare le nuove comunità a costruire una nuova “identità collettiva” e quindi a ideare e sviluppare risorse.